2006 – 2008 Milano Cadorna 8.53
Nostro treno quotidiano
Due donne, due artiste di formazione ed esperienze diverse, Marina De Meo e Chiara Pellegrini, per motivi diversi compiono per lungo tempo un tragitto ferroviario di andata e ritorno in giornata: un pendolarismo a lunga gittata quello di Marina che in alcuni giorni della settimana deve raggiungere Venezia da Milano, e uno più contenuto, quello di Chiara, che si sposta tra il centro di Milano e una cittadina dell’hinterland. Un’esperienza di viaggio in treno di questo tipo è ben diversa dal viaggio occasionale o sporadico: prevale il tema della ripetizione, i paesaggi e gli ambienti diventano familiari e talvolta, soprattutto nel pendolarismo “corto”, si incontrano le stesse persone. Viene meno dunque dopo poco tempo, l’elemento della novità, della sorpresa di fronte al nuovo.
Riflessi
Marina De Meo è stata sempre attratta dalle dinamiche psicologiche e sociali che si rintracciano nell’esperienza del viaggio: già qualche anno fa aveva proposto una serie di intriganti fotografie realizzate su un treno a lungo percorso, di quelli che congiungono il Sud al Nord del nostro Paese, e a proposito delle quali si scriveva: « […] il viaggio in treno rappresenta quasi un genere, un mondo a sé, concluso nella sua precarietà tra la partenza e l’arrivo. Marina De Meo ha ripreso questo viaggio – che per la maggioranza dei passeggeri non è certo un viaggio di piacere sull’Orient Express – con discrezione e con una piccola fotocamera digitale che nella precarietà della luce esalta i contrasti, i cromatismi, componendo così malinconici e moderni fotogrammi di un racconto antico.» Mantenendo e consolidando questo stile narrativo, quasi cinematografico, e accentuandone i caratteri di precarietà visiva Marina racconta adesso ciò che la circonda nel viaggio Milano-Venezia e ritorno e, aiutata dall’aspetto ripetitivo dell’esperienza, si sofferma a riflettere su se stessa, in un pudico ripiegamento autobiografico. Il viaggio ripetuto, sempre simile e sempre diverso, la spinge «a posarsi più a lungo sulle cose per guardare più in profondità dentro e fuori di sé» come lei stessa dichiara presentando la sua ricerca. Un lavoro che si distende, letteralmente, lungo due strisciate di fotogrammi accostati come una vibrante sequenza cinematografica che trova poi la sua più complessa forma in un breve video dove le asciutte didascalie e una musica appropriata coinvolgono lo spettatore sul piano emotivo.
Alla comunanza tematica tra i lavori delle due artiste fa riscontro la comunanza stilistico-metodologica: anche Chiara Pellegrini per presentare una parte del suo lavoro ricorre, in chiave moderna, ovviamente, a un antico strumento, lo zootropio, una delle ottocentesche macchine del proto-cinematografo. Attraverso le fessure praticate in un cilindro si possono osservare le immagini che scorrono, così come può accadere dal finestrino del treno. Chiara presenta poi quattro pannelli contenenti ciascuno quattro fotografie: Trasparenze le chiama, quasi a voler sottolineare una precarietà e ambiguità della visione. Sono scorci di stazioni, di pensiline, di fiancate dei treni, di fasci di binari, ambienti ripresi attraverso i vetri dei finestrini spesso rigati dallo sporco lasciato dalla pioggia, e in cui ogni tanto si intravedono persone transitanti come ombre. E infine, quasi a voler suggellare il lavoro con immagini più definitive, Chiara propone tanti piccoli fotogrammi di dettagli dei treni montati su un cartoncino affiancato da uno della stessa dimensione ma specchiante: il dettaglio quindi si riflette accanto all’originale con una angolazione e una prospettiva diversa e tutto diventa duplice, ambiguo.
Per Marina e Chiara insomma l’esperienza dello stesso viaggio ripetuto acquista una doppia valenza: quella dell’acuirsi dell’osservazione e quella della ambivalenza del reale visibile. Quanto più si osserva il mondo tanto più aumenta il grado di complessità della visione: una pratica più vicina al tanto vituperato relativismo in tempi in cui si vuole far credere che ogni cosa e ogni idea sono chiare e definitive.
Trasparenze
Milano Cadorna 8.53 è il treno che prendo per lavoro. Un pendolarismo all’incontrario, visto dalla città verso il fuori.
Questo spostarsi richiede un tempo di percorrenza, definisce degli orari, segue un tragitto, in un muoversi costante.
E’ presente un elemento di ripetitività che si traduce in volontà formale e trasferisce il senso del viaggio in un’altra dimensione, più legata all’immaginario.
“Non stancarsi mai di guardare è faticoso.
La città scorre davanti ai miei occhi: la attraverso da sud a nord. Sembra immobile. Fissa come il mio sguardo. Appiattita dal sole pallido di una mattina estiva.
Lontana dal traffico corro su dei binari attraverso il cuore della città… i cortili interni alle case di cui non conosco la facciata che si mostra sulle arterie di grossa percorrenza.
Eppure le amarene dell’albero della stazione di Bruzzano sono cadute, le ruspe di Bovisa hanno continuato a lavorare, lontano dai miei occhi, facendo scomparire pezzo a pezzo le vecchie fabbriche.
Spesso le mutazioni lente non si percepiscono, come un figlio per una madre rimane per sempre bambino
e poi, d’improvviso, sembra che le cose nascano, crescano e muoiano in una notte, come i frutti di un sottobosco lontani dal sole.” Pensieri da treno
Le cose assumono un valore spesso osservandone quello che manca.
Dedico questa lavoro alle persone che si incontrano casualmente e a quelle che si rincontrano abitualmente.
A quello che rimane invisibile.
Chiara Pellegrini
Scheda tecnica
Installazioni fotografiche
Anno di esecuzione: 2004/200…